Su 100 italiani solo 18 sono in possesso di una laurea, la metà della media dei Paesi industrializzati: è il dato più basso dopo quello del Messico. Il 30% sceglie facoltà con scarsi sbocchi lavorativi, solo il 25% esce da dipartimenti scientifici. Nella classifica dei Neet, giovani che non lavorano né studiano, dietro di noi solo la Turchia
ROMA – Troppi laureati in materie letterarie, ma pochi in totale nel nostro Paese. Arriva la bocciatura dell’Ocse sull’orientamento scolastico e universitario. A mettere a nudo le debolezze italiane è “Education at a glance 2017”, l’annuale report sull’educazione nei Paesi a economia avanzate, una delle più autorevoli pubblicazioni sul tema dell’istruzione. “Personalmente – spiega Francesco Avvisati, tecnico dell’Ocse e autore, insieme a Giovanni Maria Semeraro, della nota che riguarda l’Italia – non direi mai che ci sono troppi laureati: la cultura non è mai troppa. Ci sono troppi laureati in Lettere e faticano a trovare un impiego che corrisponda alle loro qualifiche. D’altro canto, nel sistema universitario non trovano passerelle per ri-orientarsi verso discipline dove gli sbocchi occupazionali sono migliori”.
Lauree in Italia, la metà della media Ocse. L’Italia registra appena il 18% di laureati, contro il 37% della media nella zona Ocse: il dato più basso dopo quello del Messico. Nel gruppo dei dodici Paesi di riferimento siamo ultimi.Germania, Portogallo, Francia e Spagna hanno medie decisamente superiori. La Svizzera è al 41 per cento, Stati Uniti e Regno Unito al 46 per cento. Male anche il dato sul conseguimento di una prima laurea al 35%, il quarto più basso dopo Ungheria, Lussemburgo e Messico. Secondo il report, queste cifre potrebbero essere in parte dovute a “propsettive insufficienti di lavoro e a bassi ritorni finanziari” in seguito al conseguimento della laurea. Per di più, i titoli in Italia si concentrano in facoltà (ben il 30 per cento) che il mercato del lavoro non riesce a valorizzare: Lettere, Scienze politiche, Sociologia, Scienze della comunicazione, Formazione artistica.
Pochi laureati nelle discipline scientifiche. Per Avvisati, “ci sono troppi diplomati che scelgono il percorso di studio senza consapevolezza delle opportunità che ne ricaveranno. L’Italia ha una proporzione di laureati e diplomati dell’istruzione terziaria minore di altri Paesi e i dati mostrano che i laureati che da noi mancano sono soprattutto nelle discipline scientifiche ed economiche”. Il trend si rafforza per i giovani (25/34 anni) che in 39 casi su cento sono in possesso di un titolo di area umanistica. Sono invece pochi (il 25 per cento contro il 37 per cento della Germania e il 29 per cento del Regno Unito) i giovani che escono dai dipartimenti più appetiti dal mercato: Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica, raggruppate sotto l’acronimo Stem. Una situazione che, in primis, ha “conseguenze negative per il tasso di occupazione dei laureati”.
Le donne più penalizzate nei livelli di occupazione. I numeri lo testimoniano: il tasso di occupazione nell’ambito Stem è dell’82%, (85% per ingegneria), in quello economico-giuridico dell’81%, per le materie umanistiche scende al 74%. “L’orientamento dei neolaureati è poco legato ai bisogni emergenti dell’economia”, si legge nel report. Ancora più penalizzate, in termini di impiego, le donne, “più spesso laureate in discipline a basso tasso di occupazione”. Ma perché è importante avere più laureati nei settori scientifici? Perché “globalizzazione, progresso tecnologico e invecchiamento della popolazione – spiegano gli esperti – influenzano la domanda di competenze. Già oggi le analisi dell’Ocse hanno individuato una tendenza alla polarizzazione della struttura occupazionale – continuano – nonché bisogni, non coperti, nelle aree delle competenze sociali e creative e delle competenze Stem”. L’Ocse, tuttavia, traccia una via per uscire dall’impasse. “Occorre accompagnare le scelte di orientamento con maggiore consapevolezza sui bisogni emergenti modulando le tasse di iscrizione e le borse di studio o coinvolgendo esperti del mercato del lavoro nell’orientamento alle superiori, è necessario aumentare la possibilità di ri-orientamento in corso e rinforzare i legami tra insegnamento universitario ed economia, sul territorio tra università e imprese, così come nelle politiche di sviluppo”. In altre parole, quello che aveva tentato l’Università di Milano.
Meno prospettive di lavoro per i laureati rispetto ai diplomati. In base al rapporto, l’80% dei 25-64enni con un’istruzione terziaria ha un lavoro, ma il tasso di occupazione si riduce al 64% per la fascia più giovane (25-34 anni), il livello più basso dei paesi industrializzati, dove la media è dell’83%. Inclusi i Paesi partner, solo l’Arabia Saudita ha un tasso inferiore (62%). Non solo: in Italia il tasso di occupazione dei giovani laureati è superato anche da quello dei diplomati degli istituti tecnico-professionali, che è pari al 68%. Da quanto si legge nel rapporto, in Italia le prospettive di lavoro per i laureati sono inferiori a quelle dei diplomati. Nel 2016 soltanto il 64% dei laureati compresi tra i 25 e i 34 anni aveva un lavoro, dato che sale all’80% tra gli adulti 25-64enni. Sul versante territoriale, sono ancora troppi i divari tra Nord, Centro e Sud in termini di livelli occupazionali, laureati e Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. A livello regionale il tasso di istruzione più alto è nel Lazio, il 23 per cento, poi in Umbria ed Emilia. Al 13 per cento in Puglia e Sicilia. I Neet in Italia sono ben 26 giovani su cento (15-29 anni), soprattutto concentrati nell’Italia meridionale. Quasi il doppio dei 14 su cento registrati a livello Ocse. Siamo penultimi, dietro di noi solo la Turchia.
Ultimi nell’area Ocse per spesa pubblica in istruzione. Anche nel campo della formazione in età adulta non eccelliamo: l’Italia è agli ultimi posti tra i Paesi sviluppati. Le cose vanno meglio nel campo dell’istruzione tecnica e professionale negli istituti superiori, dove è iscritto il 53 per cento degli studenti. Percorsi come quelli dell’alternanza scuola-lavoro sono elogiati dall’Ocse perché garantiscono livelli di occupazione più alti rispetto agli altri diplomati. La partecipazione alla scuola dell’infanzia è stata “quasi universale” nel 2015. La media italiana è tra le più alte tra i paesi della zona Ocse. “I tassi d’iscrizione sono del 92% per i bambini di tre anni, del 94% per i bambini di quattro anni e del 97% per i bambini di cinque anni di età”. Nel campo dell’istruzione scolastica, l’Italia è ultima nell’area Ocse per spesa pubblica complessiva. Il nostro Paese ha riservato il 7,1% della spesa delle amministrazioni pubbliche al ciclo compreso tra la scuola primaria e l’università. Un calo del 9% rispetto al 2010, secondo il rapporto “indice di un cambiamento nelle priorità delle autorità pubbliche piuttosto che di una contrazione generale di tutte le spese governative”. Con numeri fermi al 2015 per gli altri indicatori, è ancora presto per valutare l’impatto della Buona scuola sul sistema di istruzione nazionale. Resta invece acclarato che maestri e professori guadagnano troppo poco, meno che in quasi tutti i paesi europei a economia avanzata. E con un impegno di cattedra uguale alle medie europee.
Fonte: http://www.repubblica.it/scuola/2017/09/12/news