L’impegno quotidiano di cercarlo, la difficoltà di trovarlo, ma soprattutto come e perché il solo avvicinarcisi appare spesso come una fatica improba, tanto che sempre più sono coloro che rinunciano anche solo a provarci: il lavoro continua ad essere elemento imprescindibile della vita di ognuno di noi, nella sua doppia valenza di alimento primario della dignità dell’uomo e suo sostentamento economico minimo.
Del lavoro, e più precisamente del rapporto che i giovani italiani hanno con il lavoro, tratta lo studio “Lavoro consapevole”, indagine Censis che, in collaborazione con Jobsinaction e Assolavoro, vuole offrire una panoramica sulla percezione che i giovani italiani – il target analizzato sono 1000 giovani dai 25 ai 34 anni – hanno del lavoro in relazione alle loro esperienze e alle loro prospettive: un’analisi che, avvalendosi di interviste e un focus group sui diretti interessati, vuole riflettere sul rapporto giovani-lavoro descrivendolo, dunque, dall’interno.
L’indagine è stata presentata lunedì 17 luglio alla Camera dei Deputati; ecco alcuni tra gli elementi di riflessione che ne sono scaturiti.
ASPIRAZIONI VS. REALTA’: IL LAVORO NEGATO – Il contesto sociale in cui l’indagine si è immersa è quello descritto dal Rapporto ISTAT 2016 sulla povertà, stupefacente per l’entità di un dato in particolare, quello che certifica 1,6 milioni di famiglie in povertà assoluta. Partendo dalla rilevanza di questo dato, che sottolinea come trovare una fonte di reddito sia sempre di più una questione di sopravvivenza ancor prima che di ambizione professionale, Annamaria Parente – senatrice PD e Capogruppo in Commissione Lavoro -ha notato che, indagine alla mano, quella che i giovani percepiscono come fonte primaria di ingiustizia sociale è il lavoro negato, il trascorrere di un tempo sempre più lungo senza trovare lavoro. Emerge una dimensione di solitudine, di smarrimento, che spesso non viene ascoltata a dovere; se non si è in grado di inquadrare il lavoro anzitutto nella sua primaria valenza come strumento di dignità sociale, sarà pressoché impossibile capire a chi si rivolgono i giovani, a quali temi sociali legano il loro approccio al lavoro, e soprattutto qual’é il rapporto con le generazioni precedenti; un punto, quest’ultimo, che come si vedrà rappresenta uno dei nodi più interessanti che vengono a galla dallo studio.
LAVORO: CHI LO CERCA, CHI LO TROVA E CHI NON LO CERCA PIU’ – Marco Baldi – Responsabile Area Economia e Territorio Censis – , curatore dell’indagine, ne ha esposto i contenuti dati alla mano. Partendo dai dati strutturali, è da notare come la crisi abbia provocato, nell’arco di tempo 2007-2016, una diminuzione degli occupati dal 57,7% al 46,1%; non è solo la disoccupazione ad essere aumentata, ma anche la percentuale dei NEET (coloro che non hanno lavoro e non lo stanno cercando, né stanno seguendo corsi di studio o di formazione professionale).
Dallo studio emerge con chiarezza che i giovani sono molto attenti alle tematiche e al dibattito inerenti al lavoro. Il desiderio più appetito è quello di avere un lavoro in linea con le proprie aspirazioni, anche per questo la raccomandazione – assieme al “lavoro negato” di cui sopra – è individuata come uno dei principali inneschi di ingiustizia sociale.
Lo stato d’animo che si registra è quello di un evidente scoraggiamento, accompagnato paradossalmente da una disposizione alla fatica che, a un primo sguardo, sembrerebbe configurare una contraddizione. Possiamo spiegare almeno parzialmente questa “coabitazione” se andiamo a vedere come i giovani cercano lavoro: sostanzialmente cercando di sfruttare tutti i canali disponibili, ma privilegiando in maniera massiccia l’invio di curriculum via mail e i canali web (Linked In uno dei più sfruttati). Da una parte, dunque, lo scoraggiamento, dovuto soprattutto al frequente disallineamento tra il lavoro ricoperto – per chi un lavoro ce l’ha – e le competenze con cui ci si è formati; dall’altra la disposizione alla fatica, declinata come propensione a fare mille lavori, anche se disomogenei ed estemporanei.
Spicca, in questo quadro, la progressiva erosione dell’intermediazione; la ricerca “disordinata” del lavoro sempre più prescinde dalla valutazione di ulteriori percorsi formativi, in particolare l’affidamento alle agenzie del lavoro. Da questo punto di vista alla grande attenzione per i temi legati al lavoro non corrisponde una eguale attenzione alle politiche attive proposte né, appunto, agli strumenti di intermediazione che potrebbero aiutare a delineare il percorso adatto ad arrivare nel modo migliore al colloquio, per i giovani assunti interpellati il vero e proprio spartiacque tra il prima e il dopo della ricerca.
IL RAPPORTO GENERAZIONALE – Qual’è la prima causa del tasso di disoccupazione giovanile in Italia? A questa domanda la risposta degli interpellati è per certi versi sorprendente: per il 46% è lo spostamento in avanti dell’età pensionabile, laddove al secondo posto (38%) troviamo l’inefficacia dei sistemi d’incontro domanda-offerta di lavoro. Giuseppe De Rita, presidente Censis, ha sottolineato che questo dato diffuso, benché configuri senz’altro una contrapposizione con “i padri”, non si sostanzia in un risentimento rancoroso; il rancore, se c’è, è più rivolto alla propria formazione – molti, guardando indietro nel tempo, non tornerebbero a studiare – , mentre la consapevolezza di “aver formato carriere scolastiche costruite per un futuro senza spazio”, proprio in quanto consapevolezza razionale, non si risolve in un rapporto rabbioso verso le precedenti generazioni.
La voglia di lavoro, il fatto che averne uno che piace sia tuttora considerato il primo fattore di costruzione della felicità, si è sostanziata in un effetto-sparpagliamento che rifiuta l’intermediazione, sebbene molti degli intervistati che un lavoro lo hanno trovato individuino proprio negli strumenti di intermediazione uno dei fattori decisivi. Strumenti di intermediazione che, anche a parere di Alessio Rossi (Presidente Giovani Confindustria) e Gianluigi Petteni (CISL), risultano cruciali sia per un corretto riorientamento di chi perde il lavoro che per combatterne il senso di smarrimento.
LO SCENARIO: LE SFIDE DEL LAVORO TRA OGGI E DOMANI – Stefano Scabbio – Assolavoro – ha individuato 4 temi chiave legati al “cambiamento culturale” già in atto nel mondo del lavoro: la quarta Rivoluzione Tecnologica, l’aspetto demografico, la disintermediazione del mercato del lavoro e la maggiore rilevanza delle scelte individuali dei giovani. Il “saper fare” deve andare di pari passo con il “saper essere”, perché oggi sempre più aziende lavorano per progetto, dove diventano cruciali le metacompetenze e le soft skills. L’alternanza scuola-lavoro è fondamentale nella creazione di competenze radicate e in continuo aggiornamento, perché costruisce una formazione che armonizza le esigenze delle imprese con i programmi scolastici.
Riccardo Staglianò, giornalista de La Repubblica, ha messo in luce come nell’indagine ci siano due grandi assenti: i sindacati e la tecnologia, infatti, non sono praticamente mai nominati nelle risposte degli intervistati. In particolare, sulla tecnologia, sebbene gli incentivi alle start-up siano una delle misure più auspicate dal campione interpellato in chiave di possibili modi di creare lavoro, la realtà ci dice per ora che il saldo tra posti di lavoro creati e posti di lavoro distrutti dalla tecnologia è nettamente in negativo. Il “grande disaccoppiamento” tra la curva sempre più alta della produttività e quella sempre più bassa dell’occupazione deve far riflettere su superficiali entusiasmi al riguardo; uno studio – tra i tanti – eseguito negli USA ha previsto, nell’arco del trentennio 2003-2033, che il 47% dei lavori umani “di routine” potrebbe essere automatizzato.
Valeria Fedeli (ministro dell’Istruzione) ha sottolineato che, nel ripensamento culturale del lavoro, gioca un ruolo chiave il superamento del vecchio schema studio-lavoro-pensione; i nuovi strumenti vanno apprezzati ed usati a seconda delle diverse finalità cui sono rivolti: ad esempio l’alternanza scuola-lavoro per armonizzare formazione scolastica e approccio al lavoro , la co-progettazione per aprirsi nuovi sbocchi professionali, e così tanti altri strumenti. La decontribuzione sulle assunzioni di under 30 può essere uno strumento valido, ma a condizione che si accompagni a piani di investimento ben definiti, in cui anche le aziende che ne sfruttano i benefici facciano la loro parte ragionando sul lungo periodo.
Fonte: http://www.unimondo.org/Notizie/Lavoro-consapevole-l-indagine-del-Censis-167533