Serve a perfezionare la lingua, ovviamente. Ma ti fa sentire anche più europeo e in tempi di Brexit non guasta. Soprattutto, è un buon biglietto da visita nell’ingresso nel mondo del lavoro: chi ha fatto esperienze di studi all’estero durante l’università risulta disoccupato nel 6% dei casi contro il 18% di chi non è partito. Sono i risultati dello studio sui vantaggi dell’Erasmus per gli studenti universitari promosso dall’istituto Indire, sede dell’agenzia che gestisce il programma europeo. L’analisi, commissionata all’istituto Piepoli, è estesa anche ai programmi per gli insegnanti, un fenomeno più recente e più contenuto nei numeri. Si tratta di docenti che partecipano a scambi di formazione e di affiancamento in aula nei paesi europei per confrontare metodi didattici e perfezionare la lingua: nel 2014 erano 1.653, sono saliti a 2.562 nel 2017.
UNIVERSITA’: I VANTAGGI PER CHI PARTE CON L’ERASMUS
A partire lo scorso anno con Erasmus+ sono stati 41.487 studenti universitari, un vero e proprio esercito di studenti viaggiatori. L’indagine è stata fatta su un campione di 1.412 giovani, per lo più dai 25 ai 30 anni (74%): 702 hanno partecipato al programma di mobilità all’estero dal 2007 al 2014, l’altra metà (710) non lo ha fatto ed è definita “non mobile”. I vantaggi al rientro per chi è partito? “Crescita personale”, afferma il 98%, in particolare rispetto all’acquisizione della lingua (55%), all’apprendimento di metodologie di studio non presenti in Italia (31%), alle relazioni instaurate con altre culture (19%) e alle competenze specifiche acquisite (19%).
Università, partire con l’Erasmus? “Dà più opportunità di lavoro quando torni”
Chi non ha fatto Erasmus+ si giustifica: non avevo tempo tra un esame e un altro (28%). Ma c’è anche chi non ha voglia di partire (16%) e chi dice – molto pochi – che è rimasto a casa per mancanza di informazioni sui programmi europei o perché non trova corsi attinenti (13%). Ma uno dei maggiori ostacoli rimane sui costi e sul relativo sostegno finanziario ritenuto non adeguato: riguarda il 21% degli studenti intervistati. Insomma, chi non parte è perché non può permetterselo.
Rispetto a chi non è partito, la percezione è che i programmi europei diano un contributo importante nell’individuazione di soluzioni in contesti difficili e impegnativi e nella progettazione indipendente dell’apprendimento e della capacità di analisi. Sul fronte dell’appartenenza, invece, è il “sentimento europeo a uscire rafforzato dall’esperienza di mobilità, insieme all’interesse nei confronti delle tematiche europee e in generale a sapere cosa accade nel mondo”, spiega Sara Pagliai, responsabile della ricerca. “Un dato importante in tempi di antieuropeismo”. Il valore aggiunto è sul lavoro: a parità di età anagrafica e titolo di studio conseugito nel campione degli studenti “non mobili” si registra una maggiore percentuale di disoccupati (18% contro il 6%). Meno evidente la differenza tra gli occupati: 42,8% contro il 43,4%.
GLI INSEGNANTI IN ERASMUS: “SPERIMENTO UNA DIDATTICA PIU’ COINVOLGENTE”
L’analisi ha coinvolto 203 insegnanti che hanno partecipato al programma Erasmus+ per le scuole e 201 colleghi senza esperienza di mobilità all’estero. Il 97% di chi è partito dichiara che il periodo di mobilità all’estero ha soddisfatto le proprie aspettative: il 96% ha migliorato le competenze linguistiche, il 28% ha appreso metodologie di insegnamento diverse, il 17% ha apprezzato il confronto con docenti stranieri. I docenti che organizzano e partecipano alle mobilità – si legge nel rapporto – rispetto ai colleghi che non vi partecipano diventano più aperti al confronto e ritornano più motivati.
“Migliorano le capacità di interagire con persone diverse, si sperimenta una didattica più inclusiva e coinvolgente, anche con un uso maggiore delle nuove tecnologie”, raccontanto i professori “mobili”. E l’inglese, che per gli insegnanti, soprattutto della primaria, è segnalato come uno dei maggiori ostacoli per aderire al programma (il primo sono la “mancanza di tempo” e i “problemi famigliari”), diventa sempre “più masticato” da chi sale in cattedra in Italia. L’impatto di queste esperienze all’estero sull’istituto di appartenenza è meno evidente rispetto alla crescita personale e professionale: il 26% denuncia “un atteggiamento passivo e indifferente dei colleghi”, quasi un quinto racconta di un istituto “troppo rigido e radicato a metodi tradizionali” di insegnamento. “La partecipazione all’Erasmus+ ha contribuito a un miglioramento del profilo internazionale” delle scuole, conclude il rapporto Indire. Un passo avanti.
Fonte: http://www.repubblica.it/scuola/2018/02/22/news/l_erasmus_da_piu_opportunita_di_lavoro-189458369/